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La violazione dei termini di notifica del ricorso: l’improcedibilità nel rito del lavoro

Quello della «durata ragionevole del processo» è uno dei più rilevanti principi processuali presenti nella nostra Carta costituzionale. Tale principio ha trovato una prima affermazione nell’ordinamento italiano con la ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali(Legge 4 agosto 1955 n. 848), che lo consacra nell’art. 6, § 1 («ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti»), ma è assurto ad esplicita affermazione in Costituzione con la Legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 2, che lo ha espressamente inserito nell’art. 111. Conseguenza concreta della modifica dell’art.111 è sicuramente quella attinente all’improcedibilità nel rito del lavoro a seguito della sentenza di Cass Sez Un. 20604/2008.

Esempio pratico di questo mutato orientamento, è il caso che ci si è venuto a presentare e che andremo di seguito ad esporre.

A seguito di un ricorso per decreto ingiuntivo in materia locatizia da noi presentato per mancato pagamento di canoni di locazione, l’intimato si opponeva con ricorso depositato nei termini di legge, ma notificava il ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione oltre il termine termine perentorio di cui all’art. 415 co. V cpc portando alla notifica gli atti entro 30 gg dal giorno dell’udienza di discussione.

Ai sensi della nuova giurisprudenza di legittimità e di merito (a partire da Cass. SS UU 20604/2008) costituzionalmente orientata alla nuova formulazione dell’art. 111 co II cost. relativa alla giusta durata del processo, qualora la notifica del ricorso e del decreto di fissazione (nel rito del lavoro) non venga effettuato entro il termine di cui al terzo comma dell’art. 435 cpc per il ricorso in appello o entro il termine di cui al co. V dell’art. 415 cpc per il ricorso nel giudizio di primo grado esso diviene improcedibile (Corte costituzionale Ord. 60/2010).

Esiste tuttavia una giurisprudenza di merito più severa che ritiene, sulla scorta dell’interpretazione di un obiter dictum della sentenza di Cass Sez Un. 20604/2008 che qualora la notifica avvenga dopo il termine di 10 gg. di cui all’art. 435 co. II Cpc o all’art. 415 co. IV cpc, in difetto di proroga accordata dal giudice prima della scadenza, devono determinarsi conseguenze analoghe a quelle ricollegabili alla violazione del termine perentorio ovverosia l’improcedibilità del ricorso. (App. Roma Sent. 4668/2010, 2491/2010 e 2543/2010).

Nel caso si tratti di opposizione a decreto ingiuntivo o di impugnazione di una sentenza nel rito del lavoro o locatizio, la violazione dei termini in esame comporterebbe l’impossibilità di riproporre il ricorso per scadenza dei termini con conseguente esecutorietà della sentenza impugnata o del decreto ingiuntivo opposto.

Nel caso che ci occupa, questa difesa aveva azionato un decreto ingiuntivo nei confronti del locatario (Vodafone) il quale si opponeva nelle forme del rito locatizio (cioè lo stesso del rito del lavoro) notificando però il ricorso in violazione dei termini di cui all’art. 415 co IV e V cpc

Il Tribunale di Fermo con ordinanza 13.05.2013 sul procedimento 244/13 Rg dichiarava l’improcedibilità del ricorso per inosservanza dei termini perentori di cui all’art. 415 co. V cpc con l’implicita conferma del decreto ingiuntivo opposto, sulla scorta della recente giurisprudenza costituzionalmente orientata al nuovo principio della ragionevole durata del processo.

La precedente giurisprudenza – ancora non intrisa dell’esigenza costituzionale di velocizzare la durata del processo – invece si limitava a dichiarare nulla la notifica ed ordinare la rinnovazione della stessa rinviando all’uopo la prima udienza.

In sintesi viene mutato l’orientamento secondo cui il tempestivo deposito del ricorso sia idoneo da solo a perfezionare l’opposizione non incidendo il ritardo della notifica la quale poteva essere sanata con lo spostamento di udienza e l’assegnazione dei termini per una nuova notifica.

Ora invece anche il Tribunale fermano ha recepito l’evoluzione della giurisprudenza nel rito del lavoro per cui oltre ad una valida edictio actionis è necessaria altresì una valida vocatio in ius quale condizione indispensabile per la stabilizzazione degli effetti prodromici e preliminari prodotti dal regolare deposito del ricorso.