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Prelazione agraria e azione di riscatto (Parte I)

prelazione agraria

Può il coltivatore diretto riscattare due fondi venduti anche se la coltivazione era praticata solo su uno di essi?

 

Nel presente e nel prossimo articolo di questa rubrica illustreremo la questione giuridica che ha investito i ns. assistiti (i sig.ri B.) i quali, acquistando un terreno agricolo, hanno dovuto resistere giudizialmente in una causa di riscatto agrario azionata da un coltivatore diretto, sedicente affittuario del fondo.

La vicenda legale, sorta nel lontano 2001 e conclusasi recentemente con una sentenza della Corte di Appello di Ancona, interessa e chiarisce i limiti della prelazione agraria in caso di alienazione di più terreni.

– L’istituto della prelazione agraria –

L’istituto della prelazione agraria è attualmente regolato dalla L.590/65 e dalla L.817/71 e prevede che chiunque voglia alienare il proprio fondo deve preventivamente farne offerta al coltivatore diretto (o società agricola in cui almeno la metà dei soci è coltivatore diretto) che conduce in affitto, da almeno due anni, il terreno offerto in vendita (art. 8 della legge 590/1965), diversamente se il terreno non è affittato, il diritto di prelazione spetta al coltivatore diretto (o società agricola) proprietario di terreni confinanti (art. 7 della legge 817/1971). L’alienante del fondo quindi, per consentire l’esercizio della prelazione, è tenuto a notificare la proposta di vendita con lettera raccomandata (c.d. denuntiatio), all’affittuario o ai confinanti, allegando il contratto preliminare di compravendita contenente il nome dell’acquirente, il prezzo e le altre condizioni stabilite per la cessione. Il destinatario della notifica ha trenta giorni di tempo per esercitare il diritto di prelazione. Se comunica la sua intenzione di esercitare il diritto, il contratto si intende concluso e il prezzo deve essere pagato entro tre mesi. Quando il terreno viene venduto senza la notificazione al titolare del diritto di prelazione, oppure quando il prezzo indicato nella notificazione è superiore a quello risultante nel contratto di compravendita, l’avente diritto alla prelazione può esercitare l’azione di riscatto sul terreno entro un anno dalla trascrizione della vendita nei registri immobiliari a pena di decadenza.

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– Il procedimento di primo grado –

Per meglio comprendere la questione giuridica sottesa al caso di specie, si rende necessario esporre brevemente i fatti di causa. La sig.ra S. era proprietaria di un terreno agricolo attraversato da una strada provinciale. Nell’ottobre del 2000 la sig.ra S. vendeva il terreno ai sig.ri B. (nostri assistiti) dopo aver dichiarato loro che non esisteva materialmente alcun contratto di affitto con il coltivatore diretto anche se allo stesso coltivatore era stato concesso di poter praticare le sue colture sul terreno al fine di tenerlo pulito. Senonchè nel marzo del 2001 i nuovi acquirenti venivano citati in giudizio dal sig. M. il quale affermava di coltivare dal 1995 come affittuario il fondo rustico alienato che deteneva regolarmente a fronte del pagamento di canoni di locazione. Dichiarava altresì di trovarsi nelle condizioni previste dal comma 1 art. 8 L. 590/65 secondo cui “In caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno due anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.”

Alla luce di ciò il sig. M. , rilevata l’avvenuta alienazione del fondo da parte della proprietaria, contestava l’omessa notifica nei suoi confronti della c.d. denuntiatio e per tali motivi esercitava l’azione di riscatto agrario nei confronti degli acquirenti, offrendo in pagamento la stessa cifra risultante dal preliminare di vendita. Così convenuti in giudizio gli acquirenti preliminarmente chiedevano di chiamare in causa la venditrice, tenuta alla garanzia per l’evizione quindi sollevavano diverse eccezioni legate alle pretese avanzate dall’attore tra le quali: 1) l’inesistenza e/o la non sussistenza del contratto di affitto e qualificazione del rapporto come contratto d’opera o comodato; 2) la decadenza del diritto di prelazione e quindi del diritto di riscatto 3) l’insufficiente capacità lavorativa attuale e futura in capo al retraente ultra – settantenne; 4) esistenza particelle non riscattabili in quanto mai coltivate e costituenti un fondo autonomo e distinto da quello coltivato.

Nel corso dell’istruttoria si appalesava in effetti l’esistenza di un contratto di affitto contratto oralmente – inizialmente negato dalla proprietaria – per il quale il coltivatore versava canoni di locazione mensili. L’istruzione probatoria (prove orali e foto dei luoghi) evidenziava altresì che il terreno a valle della provinciale non era mai stato detenuto né coltivato, diversamente da quanto riferiva l’attore servendosi anche delle domande AIMA per i contributi sulle coltivazioni effettuate, che contrastava però con l’evidenza empirica. Fu per questo motivo che l’attore nelle fasi conclusive del giudizio (comparsa conclusionale), mutava i fatti a fondamento della domanda di riscatto sostenendo di aver lasciato il fondo a valle della provinciale alla destinazione pascolo-boschiva invece che di averlo coltivato (a grano e foraggio) come inizialmente sostenuto.

Nonostante la palese incongruenza nella prova dei fatti posti a fondamento della domanda di riscatto, nel procedimento di primo grado svoltosi dinnanzi al Tribunale di Fermo, sezione distaccata di Sant’Elpidio a Mare, il Giudice di prime cure con sentenza 99 del 08.10.2003 accoglieva la domanda di riscatto agrario per l’effetto riconosceva e dichiarava la qualifica di legittimo proprietario del fondo in capo al coltivatore diretto, condannando i fratelli B. a rifondere le spese di lite, rigettando per giunta la domanda di risarcimento danni per evizione spiegata nei confronti della terza proprietaria alienante. Va evidenziato anche che nel febbraio del 2003, prima della pronuncia di primo grado, il coltivatore si impossessava del terreno a valle, detenuto formalmente dai legittimi proprietari, ripulendolo dai rovi, arbusti e piante, quindi cominciando a seminarlo e ad ararlo. Il fatto fu denunciato dai proprietari alla polizia municipale competente.

 

Nel prossimo articolo tratteremo dell’appello opposto alla sentenza di primo grado e del suo esito…