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La “trappola” dell’INPS

inps

Può bastare l’incasso di un assegno a configurare l’accettazione di un’eredità e con essa tutti i debiti che ne conseguono?

E’ la tesi sostenuta dall’INPS che nel 2006 erogava a favore di un nostro assistito in qualità di erede un assegno bancario a lui nominativamente intestato e non trasferibile relativo ad alcuni ratei pensionistici non riscossi dalla madre deceduta due anni prima (una somma pari ad € 639,33).

La donna risultava però debitrice nei confronti dell’Istituto di Previdenza Sociale di una somma pari a € 14.434,59.

Con la riscossione dell’assegno suddetto, secondo l’INPS, sarebbe inequivocabilmente avvenuta anche l’accettazione dell’eredità e, a seguito di tal fatto, nel settembre 2009 l’Istituto di Previdenza notificava al nostro assistito due decreti ingiuntivi già dichiarati esecutivi e già azionati inutilmente nei confronti della de cuius.

Pochi mesi dopo, stante l’inerzia del soggetto nell’estinguere il debito, l’INPS notificava allo stesso un atto di precetto per la somma complessiva di € 14.434,59, oltre interessi di legge, spese di notifica e competenze successive fino al saldo.

Contro tali misure la nostra difesa proponeva ricorso in opposizione al precetto ex art.615 co. 1 cpc presso il Tribunale del Lavoro di Ascoli Piceno, deducendo che :

  1. nel marzo 2006 il nostro assistito aveva già rinunciato formalmente all’eredità della defunta perché gravata da debiti, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere presso il competente Tribunale;

  2. l’assegno dell’INPS fu spedito successivamente alla rinuncia e non era intestato alla de cuius, né tantomeno recava una dicitura del genere: “erede sig.ra….” in modo tale da far presumere che solo l’erede che avesse accettato l’eredità avrebbe potuto portarlo all’incasso;

  3. per aversi accettazione dell’eredità è necessaria l’esistenza (Cass. 11.03.1988 n. 2403; Cass. 11.05.2009 n. 10796) di una chiara ed inequivocabile volontà di accettare l’eredità;

  4. l’assegno recava invece il nome e cognome del nostro assistito e quindi il suo incasso non presupponeva affatto volontà di accettare l’eredità ma solo quello di intascare l’assegno;

  5. l’INPS avrebbe potuto solo richiedere indietro la somma intascata dal nostro assistito, perché frutto di un pagamento indebito;

  6. non è possibile dare revoca tacita di una rinuncia formale (cass. 4846/03).

Il Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza 401/2012, dando ragione a questa difesa, motivava che il ricorrente aveva già rinunziato all’eredità con atto ricevuto dalla cancelleria del Tribunale competente e quindi non poteva essere opposta dall’INPS l’esistenza di una revoca tacita della rinuncia per inammissibilità della stessa.

Il Tribunale adito accoglieva quindi il nostro ricorso, annullando l’esecuzione e tutti gli atti esecutivi oggetto dell’opposizione e dichiarando l’infondatezza della pretesa dell’INPS, con condanna della stessa a rifondere le spese di giudizio.